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La mia prima Maratona

Era uno dei sogni che rincorrevo da una vita: correre, correre tanto, correre tanto da completare una maratona. 

Mi è sempre sembrato un obiettivo irraggiungibile per quanto fosse lontano, fuori dalla portata dei più, riservato solo ad atleti con capacità di resistenza, fisica e piscologica, straordinarie. Lo pensavo con consapevolezza, come una persona che ha sempre praticato attività sportiva sin da ragazzo, anzi, sin da bambino.

Negli anni ’70, uno zio mi iniziò alla corsa su strada, le gare di paese (7 km, ricordo, era la distanza solita) dalle quali tornavo a casa con una coppa, la ricompensa per tutti coloro che arrivavano fino in fondo: a me sembrava un premio enorme. Forse anche per questi ricordi, quando smisi di praticare lo sport di squadra – la pallacanestro, passione travolgente della mia (lunga) adolescenza – cominciai a correre, da solo. Arrivai fino a una ventina di chilometri in un’ora e quindici minuti (ma gli anni che sono nel frattempo trascorsi potrebbero avere aggiunto una componente di mito a questo ricordo…). Anche allora – proprio allora – la maratona mi sembrava ancora più lontana.

Qualche anno fa lessi “L’arte di correre”, di Murakami Haruki. La scelta di dedicarsi alla corsa, e alla maratona in particolare, a seguito del cambio di stile di vita dell’autore, radicò ancora di più in me la convinzione che io non ci sarei mai riuscito, oltre a una certa invidia. “Certo, tu scrivi, hai la giornata più libera di me, puoi dedicarne metà all’allenamento e a coltivare quell’arte.”

Un giorno, due anni e mezzo fa, Elvio mi chiese: “Ma se corri già, perché non vieni anche tu? Rincorriamo la pace, per Emergency”. Fu l’occasione per vincere il pudore e cominciare a correre per agonismo, anche se a livello amatoriale. Un gruppo di amici – veri e sinceri, i Runners for Emergency – mi ha accompagnato, passo dopo paso, ad aumentare le distanze tra il punto di partenza e quello di arrivo, a motivarmi, a convincermi che la maratona sarebbe stata il prossimo traguardo che io pure avrei potuto tagliare. Per due volte ho provato a prepararla e per due volte un fastidioso e doloroso (per il corpo e per lo spirito) infortunio mi ha fermato, per diversi mesi, dopo avere varcato il “muro dei trenta”. “Ma come? Ho retto contro “il muro”: la testa c’è, le gambe pure; possibile che mi debba fermare, per due volte, per un infortunio?” Sembrava una maledizione: hai varcato le colonne d’Ercole, pagherai per la tua superbia. Delusione, frustrazione, rabbia. E tanta invidia per gli amici che continuavano a macinare chilometri.

Dopo un riposo durato mesi, la scorsa estate ho ripreso lentamente a correre, con l’obiettivo – inconfessabile – che avrei voluto riprovare a preparare la maratona di Firenze, a fine novembre. Tabelle alla mano, ho cominciato progressivamente ad allungare i chilometri e ad aumentare la frequenza degli allenamenti. Fino al 4 settembre: un nuovo stop, ancora la contrattura al polpaccio, al rientro in gara con i Runners for Emergency. 
Torno dal fisioterapista definitivamente rassegnato, perché ho la certezza che la maratona non farà mai per me. Emiliano mi visita e dice: “questa volta ti metto a posto per sempre. Correrai prima o poi la maratona, in quanto tempo dipende solo da te, ma la correrai”. Non gli ho voluto credere, perché non volevo più fantasticare. L’8 ottobre sono tornato a correre i miei primi – nuovi – 5 chilometri.

“Roberto ci ha chiesto di correre la maratona di Firenze con una carrozzina e ci stiamo organizzando per spingerlo fino al traguardo” – mi dice Elvio qualche giorno più tardi al telefono, dopo le ormai consuete lamentele che ci scambiamo sulle nostre reciproche condizioni fisiche. Mi si velano gli occhi e rabbrividisco, perché immediatamente penso che manca solo un mese e mezzo. La testa non ci vuole pensare: “hai ricominciato a correre da una settimana, è una follia, non c’è tempo per stabilizzare la corsa e cominciare ad allungare, il polpaccio salterà di nuovo. Perché ti vuoi ancora illudere?” Ma il cuore ci pensa, eccome: “provaci” non è un ordine, diventa un incoraggiamento che pulsa continuo, passo dopo passo. Alla pressione delle dita il dolore c’è ancora, ma riesco a correre senza grandi conseguenze. Così comincio ad allungare. E aumento la frequenza degli allenamenti. In due settimane ho riagganciato la tabella di preparazione. Mi sveglio alle 6 di mattina e corro. Corro. Corro. Comincio a crederci: 18, 25, 21, 16, 32: mi iscrivo! Poi 14, 21, 10… Comincio lo scarico. Ma davvero la settimana prima si corre due volte per sette chilometri e poi l’ultima volta per cinque? Ma come faccio a farne 42 e passa dopo domani?

Dopo domani finalmente arriva. Sono le 8.20. Non c’è più tempo ormai per pensare a nulla, se non a una cosa soltanto: Roberto è lì con noi, io sono con lui e con gli altri runners. Ce l’ho fatta intanto anche solo ad esserci. “Torniamo tra un po’, tu aspettaci qui” – prometto alla meravigliosa facciata del Duomo di Firenze sulla quale non smetto di fissare lo sguardo. So che sarà così già quando passo sotto al “via”.

Quando torniamo in Piazza del Duomo, la folla che si accalca da un lato e dall’altro del percorso ci incoraggia al nostro passaggio con i Maratonabili; è così sin dal Ponte Vecchio, da Piazza della Signoria. Nessun dolore, le gambe oramai sanno che cosa fare e lo fanno da sole. Al traguardo, dove mi aspettano anche Alessandra ed Edoardo, sento una gioia infinita esplodere nel cuore, le lacrime gonfiare gli occhi. Ce l’ho fatta, ce l’abbiamo fatta. Abbraccio Roberto e lo ringrazio. Perché non sono stato io a spingerlo fino a lì, ma è stato lui a spingere me fin sotto a quel traguardo. Lui ha fatto sì che un mio sogno, a lungo ricorso, sia diventato realtà.

Come realtà diventerà un giorno anche un altro sogno per il quale noi tutti stiamo già correndo: aboliremo la guerra dal futuro dell’uomo. Servono tenacia, determinazione e un cuore grande, che pulsi con coraggio fino a quando raggiungeremo quel traguardo. Passo dopo passo, arriveremo tutti insieme in fondo anche a questa maratona. E sarà la vittoria più bella: un mondo senza più guerra, il regalo più bello per i nostri figli.

Alessandro Bertani