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La Mia Tragicomica Maratona Di Roma

Non ho mai avuto tanto freddo in vita mia. 

A un certo punto se ne avessi avuto la forza, avrei voluto gridare: “Qualcuno mi tiri una felpa o un maglione! Vi pregooo! Anche se puzza non me ne frega un cazzo!” Ero talmente congelato che non riuscivo neanche a concepire un pensiero caldo per concludere la mia tragicomica maratona sotto la pioggia. 

Ma andiamo con ordine. 

Non ho mai corso una gara sotto l’acqua. Quindi tra i riti pre-gara c’è stato quello del tipo: “Ti prego fa che non piova, ti prego fa che non piova. Accendo una candela in chiesa se poi non piove” Poi, rassegnato all’evidenza di una domenica di tempo di merda, scatta il lato femminile che c’è in ogni uomo: Oddio! Cosa mi metto? Ragionando mi dico: Di sicuro avrò freddo, quindi maglia maniche lunghe, canotta della squadra sopra, pantaloncini corti (e beh dai la maratona in calzamaglia è troppo anche per me) calze tecniche fin sotto il ginocchio, bandana. Poi vedo sbucare in una borsa dimenticata da tempo in un angolo della stanza qualcosa di trasparente. È il sacco che ti copre gli abiti quando li ritiri in lavanderia!! È la mia salvezza. Lo sento, con questo posso sfidare freddo e pioggia. Nulla potrà mai fermarmi. Niente guanti stavolta ragazzi, ma vi giuro che ci ho pensato. 

Alla partenza siamo il trio delle meraviglie. Con me ci sono la sempre allegra Claudia Conti e l’uomo pacato Pierluigi Tremendozzi. Tattica di gara. Per Claudia va bene tutto: “Ragazzi io non ho fatto neanche un 25 km quindi mi dovete portare voi al traguardo.” See come no, le ultime parole famose vero Claudietta? Con Pier ci intendiamo a meraviglia, andiamo in progressione. Partiamo anche 5:50/5:55 e poi andiamo a scendere. Perfetto tutto chiaro, sparo, partenza, via! E subito inizia a piovere (maremmamaiala). Al secondo chilometro Pier va un po’ troppo e glielo faccio notare, al quarto stesso disco: “Pier rallenta sei a 5.14.” Al sesto: “Pier stacca il turbo”. All’ottavo: “Pier ti metto il guinzaglio”. Il ragazzo è scatenato come un giovane labrador (Grande Pier te voio bé, ma la prossima volta te buco le gomme. Scherzo.) Nel frattempo piove, piove e ancora piove e comincio a sentire un freddo cane. “Merda – dico tra me – se va avanti così neanche domani vedo il traguardo.” A un certo punto lassù si chiude il rubinetto, sembra finita, ma dopo un paio di chilometri ecco che ricomincia. Al mio evidente sgomento Claudia urla: “Pioggia non ci fai paura!” Ed ecco che in un nano secondo viene giù di tutto. 

Tesoro io te voio bé, ma l’inquilino del piano di sopra bisogna lasciarlo stare, perché se si incazza sò cazzi. Nonostante tutto arriviamo al 20 km con il nostro passo programmato a 5.40 e il grande Tiziano Cardelli che si unisce alla allegra brigata. Ma due chilometri dopo qualcosa non quadra, anche se non piove più sento freddo dappertutto. Provo ad aumentare, ma l’omino interiore mi avverte: “Non cé provà. All’intestino ho tolto il casello autostradale chi vuole uscì esce.” Sono fottuto. Stringo i denti e provo a stare con gli altri. Ma al 25esimo Claudia e Tiziano allungano io e Pier ci guardiamo: “Per fortuna non l’ha preparata se no al secondo km neanche con il binocolo spaziale l’avremmo più vista.” Claudia te ripeto: io te voio bé, ma mo’ mi dici che te magni per essere così speedy. 

Proprio a questo punto guardo il cielo e decido che il peggio è passato. Ecco mò mi devo spiegare perché ero così sicuro che non avrebbe più fatto acqua. Sto ancora aspettando di darmi una risposta. Quindi mi voglio strappare la pellicola trasparente. “Non farlo – mi dice la vocina interiore – dopo finisci nella merda”. “No – ribatto io – vedrai che poi anche il mio corpo respira meglio e mi passa il mal di stomaco”. Così mi libero del sacco e provo a rimanere con Pier e Cinzia che si è aggregata lungo la strada, ma lo stomaco come è un tamburo dato in mano a un bambino in vena di rompere le palle e alla salita del 27 km mi perdo anche loro. “Che ti avevo detto – mi dice l’omino?” “Fottiti – gli rispondo io.” Solo, spaesato, in cerca di una stella polare sul mio cammino comincio a preoccuparmi e quando tutto sembrava perduto ecco che come nei film arrivano a salvarmi gli pacemaker delle quattro ore. “Voi fermatevi, voi muovetevi, voi più compatti, voi più sciolti in discesa.” Oh ma questi non stanno mai zitti. Come al mercato, uguali. Ma sono anche divertenti. Aiutano a distrarti e riesco a stare con loro fino al 32esimo km poi niente, lo stomaco continua a rompere i “maroni” (parola dialettale in uso del vocabolario bresciano). 

Quindi hasta la vista mercanti e mi metto a fare due conti. Ok Davide chiuderla in 4 ore te lo scordi. Il cagotto è dietro l’angolo, il freddo ti sta entrando ovunque (esatto OVUNQUE) quindi amministra e vai con Dio. Ma il gelo comincia a fare davvero male e mi guardo intorno in cerca di un segno mandato dal cielo. Quando arrivo in via del corso non ne posso più. Voglio un the caldo cazzo, anzi facciamo due senza zucchero grazie. Con la mente vado nostalgico alla maratona di Firenze dove quella bevanda calda era presente a ogni ristoro. Ah bei tempi quelli! Là sì che si stava bene nonostante fosse novembre! Maledetto tempo di merda. Quando comincio a pensare se sono l’unico sfigato che morirà congelato in una cazzo di giornata romana non certo primaverile ecco vedo uno nelle mie stesse condizioni. Solo che in suo soccorso arriva la ragazza che gli dà felpa, la coperta termica usa e getta con il sorriso beffardo di chi la sa lunga guardando il suo uomo. “Ok sarebbe ora di trovarmi una donna, ma nel frattempo che faccio?” 

Mi guardo intorno cercando una felpa per terra, uno spolverino caduto a qualcuno che mi ha preceduto anche uno straccio. A questo punto va bene tutto, basta che mi faccia caldo. Niente, manco un fazzoletto. Via del Corso non è mai stata così pulita in tutta la sua vita. Mancano 4 km e morirò congelato manco fossimo al polo sud. Che può accadermi di peggio? Ricomincia a piovere. Maremmamaiala. E come piove poi. Oh ma qui non smette neanche se inizio a pregare in cinese. Provo a pensare a un’isola tropicale dove non sono mai stato. Non ci sono mai stato quindi non riesco a immaginarla. Sono quasi al tunnel del Tritone e intontito dal freddo non capisco più nulla, quando ecco arrivare l’angelo custode Raponi (Oh! ma una donna mai?). Il buon Roberto mi chiede qualcosa e io devo averlo guardato come si guarda uno straniero che ti chiede qualcosa e si assume quell’espressione da: “Che cazzo ha detto?” Non riesco più a parlare, non riesco più a far nulla. Le gambe stanno bene, ma vado avanti per inerzia. 

Devo essere pallido come il foglio word prima che cominciassi a scrivere. Fortuna che Roberto mi sprona, mi incita, mi porta acqua e arancia e trovo di nuovo vita per l’ultimo fottutissimo chilometro. Non smette di piovere, non smette di far freddo, mi sento il gelo nelle vene. Persino fare la discesa che porta a piazza Venezia sembra quasi una impresa, ma quando Rap mi indica l’arrivo trovo un motto d’orgoglio. Fanculo il cagotto, fanculo il freddo e si fotta persino la pioggia. Gli ultimi 50 metri mi sembra di andare al rallentatore e mi viene in mente tutta la fatica di oggi. 40 metri. La prossima volta che dicono che piove mi porto la borsa dell’acqua calda. 30 metri. Poi mi devono spiegare che senso avevano le spugne piene d’acqua fredda sotto la pioggia. Mongoli. 20 metri. 

Mi accorgo solo ora che la schiena mi fa un male cane. Per forza sono rigido in posizione anti cagotto da quasi 20 km. 10 metri. La prossima volta corro con il cappello ombrello come i turisti, magari funziona, ok anche il cervello è andato. Taglio il traguardo, stremato, bagnato e infreddolito senza neanche rendermi conto che è finita. Solo quando mi mettono la medaglia al collo e la stringo mi rendo conto di quello che ho fatto. Non sarà stata la mia migliore maratona, non sarà stata la gara che ho sempre sognato o quella che mi ero impostato di fare e sicuramente quella che volevo fare! 

Ma è stata la gara più difficile che abbia mai fatto. E se penso a tutto quello che mi è successo allora ha un sapore ancora più dolce. Perché ho battuto me stesso e non c’è soddisfazione più grande che superare i propri limiti. Grazie Rfe senza di voi tutto questo non sarebbe MAI stato realtà.

Davide Cordua